1)La mia esperienza conferma la scelta d’inserire”sempre” bambini 0/10 anni in comunità con educatori residenti, anzi è preferibile che sia una famiglia con i propri figli ad accogliere. Nei bambini piccolissimi la presenza stabile di un papà e di una mamma, fanno crescere nel minore la base sicura su cui sviluppare il senso di appartenenza e lo stile di attaccamento. Invece con gli adolescenti è necessario valutare caso per caso. Alcune volte per i ragazzi, un po’ per l’età che vivono, un po’ per il legame con la famiglia d’origine, bisogna preferire una comunità dove non c’è una famiglia residente.
2)Nei casi di maltrattamento grave o di abusi sessuali, la stabilità delle figure educative, permettono al bambino piccolo di sviluppare, come nell’adolescente, quella fiducia che nasce dallo stare con loro e per loro nelle piccole cose della vita quotidiana, il fare colazione al mattino tutti insieme, il pranzo o la cena, o il semplice scambiarsi la buonanotte. Con il tempo, qualora fossero accaduti fatti dolorosi, l’intimità creata dalla vita insieme, permettono al bambino o al ragazzo di aprirsi e comunicare l’esperienza negativa vissuta.
Di certo il lavoro terapeutico, nei casi di maltrattamento grave o di abuso sessuale, ha un ruolo centrale, deve essere seguito da esperti competenti, e sostenuto dal lavoro della comunità attraverso la dimensione familiare e le relazioni”calde”che essa sviluppa.
3)Una mappatura delle strutture per minori, che possa dare informazioni dettaglia rende il lavoro di abbinamento più scorrevole e ne facilità l’efficacia.
4)Mi piace rappresentare l’attività di supervisione come quello sguardo che ti permette di trovare tra i pezzi sparsi del puzzle quello che ti mancava per completare il quadro. Questo lavoro deve essere svolto da professionisti competenti, che accompagnino l’impegno degli educatori con passione e dedizione.