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22/05/11

OLTRE 15.000 I MINORI FUORI FAMIGLIA


Due terzi vivono in strutture residenziali, un terzo in affidamento familiare: i minori che in Italia crescono senza una famiglia pongono la sfida dell’accoglienza alle famiglie e alle istituzioni.

Nonostante la famiglia, anche in Italia, appaia fragile e spesso inadeguata ad affrontare le sfide educative di una società sempre più complessa e diseguale, è proprio ad essa – ma non solo – che si rivolge maggiormente l’attenzione quando si parla di minori che si trovano nella situazione di vivere senza una famiglia, quelli che una volta si definivano “minori in istituto”. Oggi, a cinque anni dalla legge che ha abolito l’istituzionalizzazione dei minori senza famiglia a favore di situazioni che abbiano in sé il più possibile le caratteristiche di una situazione familiare (strutture residenziali, comunità, affido), la sfida è quella di rilanciare un istituto come l’affido familiare che se, da un lato, può garantire il diritto di ogni minore ad una famiglia, dall’altro, pone la sfida dell’accoglienza, e dunque della generosità unita alla responsabilità, ad una società dove la ricerca del benessere, individuale e anche familiare, continua ad essere troppo spesso il tratto essenziale anche nella fase di crisi economica in atto.

Prevenire l’allontanamento

È quanto emerso a Salerno durante il convegno di apertura della “Settimana del diritto alla famiglia” promossa dal Progetto famiglia Onlus (Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia) che si è tenuta dal 9 al 15 maggio, con una serie di iniziative, oltre una ventina, in diverse città italiane. La settimana, svoltasi per celebrare la Giornata internazionale della famiglia che l’Onu ha proclamato per il 15 maggio, si è poi conclusa a Nomadelfia, dove il trentennale della morte del suo fondatore, don Zeno Saltini, è stata l’occasione per ricordare e rilanciare il suo messaggio ancora attuale. In tempi in cui la forma unica di protezione dei minori senza famiglia era quella dei grandi istituti educativi, infatti, don Zeno sostenne che i bambini e i ragazzi andavano accolti e cresciuti in un contesto familiare. La sua testimonianza e la sua esperienza, che si sono realizzate nella comunità di Nomadelfia, hanno aperto la strada verso la legittimità di un istituto come l’affido familiare, divenuto legge nel 1983, e il superamento degli istituti per minori, avvenuto di fatto nel 2006.

«La sua proposta – ha ricordato in apertura del convegno Tommaso di Nomadelfia, responsabile dell’accoglienza dei minori nell’omonima comunità – consiste nella realizzazione di un nuovo rapporto umano basato su una fraternità condivisa, capace di rimuovere le cause che creano e portano al bisogno socioassistenziale. Don Zeno è contro l’istituzionalizzazione e andrà subito al valore fondamentale della famiglia, convinto che l’accoglienza può avvenire solo al suo interno per poterlo rigenerare nell’amore. Una famiglia allargata, in collaborazione con altre sul piano educativo, ha anticipato i tempi». Ed è proprio sul piano della prevenzione della disgregazione familiare e delle cause che possono determinare l’allontanamento di un minore dalla sua famiglia di origine che oggi, ad alcuni decenni dalla sua esperienza, che tuttora continua nella comunità di Nomadelfia, si muove l’intero sistema istituzionale preposto a garantire, attraverso l’affido familiare, il diritto alla famiglia per ogni minore. Lo ha confermato nel suo intervento Adriana Campa, dirigente delle politiche minorili del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, impegnato da tempo in un’azione di rilancio dell’istituto dell’affido familiare quale valida alternativa ai collocamenti nei servizi residenziali. A fronte, infatti, di 23.100 minori che in Italia non vivono né con genitori né con parenti, solo un terzo, 7.600, sono accolti in affidamento familiare, mentre i due terzi, 15.500, sono ospiti di strutture residenziali. Di questi, almeno il 50% avrebbe bisogno di un affido familiare per poter crescere bene. Occorre, dunque, da un lato, promuovere un istituto, quello dell’affido, che, in un contesto sociale dominato da una forte spinta individualista, si pone come controtendenza innanzitutto culturale, ponendo la sfida dell’accoglienza e della condivisione e, dall’altro, nella logica che il bene più grande è la famiglia di origine, prevenire la necessità di allontanare da essa il minore. Il progetto nazionale Un percorso nell’affido e il Piano nazionale preposto hanno questo orientamento: – attuare su tutto il territorio nazionale percorsi a protezione del minore e della sua famiglia grazie ad azioni di consolidamento e di messa a sistema degli interventi che facilitino l’utilizzo di una vasta rete di servizi capaci di sostenere la funzione genitoriale; – prevenire, con progetti mirati già partiti in dieci città italiane, l’allontanamento dei minori da nuclei familiari a rischio; – potenziare, attraverso adeguate linee-guida, sia il potenziamento dei servizi pubblici e dei centri per l’affidamento, sia il ruolo delle reti familiari e associative che sostengono e promuovono l’affido familiare. Si tratta di una sfida che è, insieme, culturale e operativa, in quanto, come ha affermato Frida Ionizzo, consigliere nazionale dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie affidatarie), «l’affidamento familiare è possibile e praticabile solo se c’è a monte un’adeguata organizzazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari e un lavoro integrato che si faccia carico non solo del supporto degli affidatari e del minore, ma prioritariamente del recupero della famiglia di origine. Quando questo non avviene, gli affidamenti rischiano di trasformarsi in “affibbiamenti” con tutte le conseguenze negative che ne derivano e che possono portare all’interruzione dell’affidamento stesso».

Ancora troppi gli affidi che falliscono

Gli affidi familiari falliti, che aggiungono frustrazione alle aspettative di bambini e ragazzi già traumatizzati dall’allontanamento dalla famiglia di origine, non sono pochi, dal momento che coinvolgono il 20%, cioè uno ogni cinque minori oggi presenti nelle strutture residenziali comunitarie. Si tratta di un dato preoccupante, che, come ha dichiarato Gianni Fulvi, presidente del CNCM (Coordinamento nazionale comunità per minori) «impone una seria riflessione sulle modalità di realizzazione dei progetti di affido familiare e una più stretta collaborazione tra le comunità, i servizi sociali e le reti di famiglie affidatarie al fine di ridurre drasticamente questo dato». Occorre continuare nella strada aperta dall’introduzione, nel percorso dell’affido, del Progetto educativo individualizzato, come strumento per seguire nella maniera più adeguata ogni minore, sì da favorirne un passaggio verso la famiglia affidataria che sia da lui percepito come il più naturale possibile, valutandone a monte la capacità di reggere una relazione affettiva valida. Ma ciò è possibile solo laddove tutti gli attori coinvolti in questo percorso esistono e possono operare al meglio, cosa che non accade in tutto il territorio nazionale. Vi sono, infatti, «zone del dono impossibile», come le ha definite Marilena Santangeli, coordinatrice dell’Ufficio per l’affidamento familiare di Frosinone, in cui la presenza delle tre dimensioni – responsabilità, riflessività e condivisione – non si riescono ad attivare in contemporanea. Così come una “zona grigia” sono anche quelle situazioni di minori fuori famiglia – ha ricordato il presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, Pasquale Andria – per i quali le difficoltà di vario genere impediscono di orientarsi chiaramente verso il rientro in famiglia di origine o verso un percorso di adozione. Da qui la necessità di soluzioni alternative come la comunità familiare, una realtà che unisce la personale scelta di vita di essere coppia e famiglia con la scelta di offrire un servizio strutturato per minori in difficoltà, l’affidamento di lunga durata, l’affidamento cosiddetto sine die, l’adozione mite. In tutte queste possibili soluzioni, tuttavia, è indispensabile il ruolo dell’associazionismo familiare che solo può aiutare un percorso così articolato, multidimensionale, dove a essere coinvolto è il piano arricchente ma molto delicato delle relazioni umane.

Legami che generano responsabilità

Ciò di cui si sente una forte necessità è di guardare alla famiglia dalla prospettiva dei bambini. Lo ha ricordato il card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, che alla settimana salernitana ha fatto pervenire un videomessaggio in cui ha ribadito che «troppo spesso si guarda alla famiglia nella prospettiva degli adulti, dei loro desideri che sono mutevoli e anche egoistici… Si deve fare di più, anche nella pastorale, proprio per far prendere consapevolezza alle persone sia delle necessità dei bambini, sia della nobiltà, della dignità, del valore che ha l’affido, e anche di prevenire, per quanto è possibile, le situazioni di disgregazione familiare, accompagnando le famiglie, mettendole in condizioni di incontrarsi tra di loro affinché riescano meglio a superare i conflitti familiari».

Si tratta di promuovere la vocazione della famiglia come dono di sé, ma non secondo atteggiamenti volubili dettati da un facile quanto vacuo sentimentalismo, bensì da un radicato senso di responsabilità, di presa in carico fino in fondo di chi oggi ha bisogno di una famiglia per crescere. «Il punto di partenza – ha opportunamente evidenziato Giorgio Marcello, sociologo dell’università delle Calabrie – sta nell’andare oltre il generico richiamo alla solidarietà. Si tratta di riscoprire, vivere, testimoniare la dimensione della gioia e della bellezza dei legami che generano responsabilità. Non si tratta di dimensioni vagamente sentimentali, ma di sentimenti profondi, da riscoprire, percependo che la nostra realizzazione si colloca nel vivere i legami, dal momento che l’identità personale acquista consistenza e senso nella relazione». Un percorso, dunque, dove si è insieme coinvolti, disponibili a perdere qualcosa di sé per acquistare qualcosa di più grande, dove l’accoglienza non è solo carità ma diventa cultura. «C’è una cultura che passa per la conoscenza, lo studio, l’approfondimento, e una cultura che passa per la testimonianza di quei valori che mantengono viva una società – ha acutamente concluso le giornate di convegno don Silvio Longobardi, presidente della federazione del Progetto Famiglia –. L’affido custodisce e costruisce l’idea di una città dove i diritti di alcuni divengono per gli altri un dovere ineludibile».

Sabrina Magnani

(SETTIMANA)

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