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14/05/12

A servizio della maternità sull’esempio di don Oreste


In occasione della Settimana del Diritto alla Famiglia, Abbiamo incontrato, Enrico masini, animatore generale del Servizio Maternità Difficile e Vita dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, per capire come la società può custodire la vita.

Qual è il rapporto che c’è tra famiglia, accoglienza e vita?
“Non vi è vita senza famiglia e non vi è famiglia senza la vita” (Dichiarazione di Buenos Aires 1999). È così che l’insostituibile complementarietà che uomo e donna realizzano nello scegliersi per sempre sono il fondamento non solo della famiglia ma della stessa società umana e della sua piena realizzazione. Quando marito e moglie si vogliono veramente bene non possono che volere il bene l’uno dell’altro e l’arrivo, anche inaspettato, di un figlio rappresenta sempre un dono, anche nelle situazioni più difficili.

Quale fecondità genera l’accoglienza della vita?
Un amore vero, per definizione, non può essere chiuso in sé stesso. Porta frutti per sua natura. Quando avviene il concepimento di un nuovo figlio Dio stesso interviene per coronare l’incontro dei due con il dono più prezioso, quello della Vita. Il figlio non è mai proprietà dei genitori, sono semmai loro ad essere suoi. L’essere umano ha in sé stesso un valore assoluto e non in relazione al desiderio dei genitori di accoglierlo piuttosto che di rifiutarlo con l’aborto o di non riconoscerlo alla nascita.

E quando quest’ultima è difficile?
“Lo tieni?” Questa è la terribile domanda che spesso una donna incinta si sente rivolgere nei primi mesi di gravidanza. Le viene chiesto di scegliere fra la vita e la morte del proprio figlio, con la nmassima indifferenza, creando una frattura terribile fra quello che già lei vive come mamma e una società in cui si pensa solo per sé stessi. Quando una madre fa del male al proprio figlio già nato viene poi severamente condannata. Fino a poco prima che nasca viene addirittura incoraggiata a disfarsene appena ci siano problemi, grandi o piccoli, anche solo ipotetici. In nessun’altra fase della vita umana si è così esposti all’essere uccisi, nel silenzio generale, addirittura con l’impiego di risorse pubbliche di uno stato che si dice democratico.

Donne che ricorrono all’aborto, bambini abbandonati alla nascita, servizi sociali e protagonisti della filiera burocratica italiana. Che idea si è fatto?
Sempre più spesso riceviamo richieste di aiuto da parte di gestanti indotte o costrette ad abortire. Genitori, partner, datore di lavoro sono fra coloro che maggiormente invitano all’aborto, anche con ricatti e minacce. È in aumento l’atteggiamento subdolo di medici che, con appa- rente gentilezza, invitano i genitori ad abortire il figlio appena si evidenzi il più piccolo rischio di problemi di salute del bambino, anche indicando strutture estere per poter abortire ben oltre le 22 settimane. Una ragazza con problemi psichici, accolta in una nostra Casa Famiglia, stava per abortire. Don Oreste Benzi, il nostro fondatore, si diede anima e corpo per scongiurarlo. A distanza di tanti anni lei ancora dice: “La cosa più bella che ho fatto nella mia vita è stata di mettere al mondo mio figlio”. Nonostante poco dopo la nascita sia andato in adozione per l’assoluta incapacità di lei di fargli da mamma.

C’è una nota positiva in questo panorama tormentato?
Ci sono tante persone di buona volontà che però hanno un grande timore di emergere. Per nostra personale esperienza ci sono tanti poveri che non hanno il coraggio di chiedere aiuto, spesso sono i più soli. La paura di infrangere la privacy fa sì che di fronte ad una donna/coppia in difficoltà ci si limiti a dire “la scelta è tua, fai come credi”. La nostra proposta va ben oltre. In un attento ascolto della persona in difficoltà cerchiamo di costruire con lei e con la sua famiglia un percorso per riemergere. Il nostro accompagnamento è un mettere la spalla sotto la croce che li opprime, facendo nostri i loro problemi, in una condivisione diretta che arriva fino all’accoglienza sotto lo stesso tetto per fare famiglia insieme per il tempo necessario a ritrovare l’autonomia. È così che risboccia la vita. Prima fidandosi che dopo il tunnel c’è la luce e poi raggiungendola insieme come fratelli di un’unica famiglia.

www.puntofamiglia.net

Extra: Punto Famiglia, n°3 - 2012 - Speciale Settimana del Diritto alla Famiglia