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“Abbiate il coraggio della fede, la dolcezza della carità e la caparbietà della speranza”: il vescovo Giuseppe ai volontari di Progetto Famiglia
DI PAOLA CINIGLIO
Sono allegri e pieni di vita i volontari e gli operatori di Progetto Famiglia che nella serata di lunedì 25 novembre hanno accolto, nella loro sede nazionale presso la Cittadella della Carità “don Enrico Smaldone”, il vescovo della Diocesi di Nocera-Sarno, Mons. Giuseppe Giudice. La loro opera è nascosta, spesso incompresa specie quando si tratta di vita nascente e sessualità ma chi venisse a tastare il polso a quanti ogni giorno hanno scelto di dedicare la propria vita al servizio dei bambini e delle famiglie più povere e disagiate, potrebbe restare sorpreso. Sono persone liete, umili, entusiaste. Giovani e meno giovani, gente che ha scelto di prendersi cura dell’altro e di contribuire con il suo battito d’ali alla rivoluzione dell’amore nel mondo.
“Siamo pienamente consapevoli dei nostri limiti ma coscienti nello stesso tempo che il bene non si fa con le persone perfette. Il nostro lavoro a favore della famiglia è solo una piccola parte di un’opera più grande di amore e di carità che nella Chiesa si fa a favore dei più poveri, un servizio che riteniamo necessario oggi più che mai” ha detto Giovanna Abbagnara, presidente della Federazione Progetto Famiglia all’inizio di un incontro in cui il saluto al vescovo è stato affidato a Gaetano e Gerardo, due ragazzi di 12 anni che nella Cittadella della carità, giocano, fanno sport e si divertono insieme ai bambini accolti nelle case e a tanti altri amici.
“Nella storia di Progetto Famiglia la carità risponde ad una logica, quella dell’incontro. Ogni opera è nata da un incontro che ha suscitato una domanda “qual è la nostra parte? Noi cosa possiamo fare?”. La risposta non sempre è stata facile ma abbiamo accettato la sfida e ci siamo messi in viaggio” continua la presidente. “Un viaggio che è stato possibile grazie al movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Nell’esperienza del movimento, annuncio del Vangelo e carità costituiscono i pilastri intorno a cui si fonda tutta la missione ecclesiale. Progetto Famiglia è l’espressione diretta dell’opera di carità che si compie nel sociale”.
Il vescovo ha ascoltato otto testimonianze piene di vita di volontari ed operatori. Il fil rouge di tutte è stato la gratitudine per quanto l’esperienza in Progetto Famiglia ha donato innanzitutto alla propria vita. Quando, con amore e senza aspettarsi nulla in cambio, si mettono a disposizione tempo, capacità, comprensione, si riceve dieci volte tanto.
La pietra miliare di Progetto Famiglia, quella che ancora oggi costituisce il primo impegno è senza dubbio il servizio alla vita nascente. Nel 1990, un piccolo gruppo di amici, guidati da un giovane sacerdote, don Silvio Longobardi, raccolse con coraggio e incoscienza l’invito di Dio ad offrire la propria voce per difendere il bambino non ancora nato. Era proprio quel bambino, senza voce e senza volto, il più dimenticato, il “più povero tra i poveri” come lo ha definito Madre Teresa di Calcutta.
“Noi siamo Attilio ed Emilia, genitori di Rosa” ha esordito una coppia di sposi. “Abbiamo conosciuto Progetto Famiglia grazie agli assistenti sociali del consultorio di Nocera Inferiore ai quali ci siamo rivolti poco dopo aver scoperto la gravidanza. La notizia dell’arrivo di un figlio ci ha sorpresi, eravamo spaventati e disorientati poiché entrambi venivamo da una situazione personale e lavorativa abbastanza complicata e il primo pensiero è stato quello di non farcela, di non poter dare a nostra figlia quello di cui aveva bisogno. Poi è arrivato l’incontro con gli assistenti sociali che ci hanno messo in contatto prima con Lucia e dopo con Angela, entrambi volontarie di Progetto Famiglia. Abbiamo trovato una vera famiglia pronta a tenderci la mano senza giudicarci, i volontari ci hanno seguito per tutta la durata della gravidanza e anche dopo la nascita di Rosa. La cosa straordinaria di questa associazione è il senso di protezione che ci ha sempre dato, la sicurezza che ogni volta che bussiamo a questa porta c’è sempre qualcuno che ci apre e ci accoglie con amore”.
Nel maggio del ’95 grazie all’accoglienza di una giovane donna al sesto mese di gravidanza che viveva di espedienti, faceva uso di cocaina e non aveva una dimora fissa, i volontari comprendono che è giunto il tempo di dare una risposta più concreta. Il 26 aprile del 1998 si apre la prima casa di accoglienza a Sant’Egidio del Monte Albino (SA), l’Oasi Maria Madre della Vita”. Da quella prima casa sono nate altre quattro nel territorio della diocesi e poi anche in altre regioni.
Il 2005 è l’anno in cui i diversi ambiti di intervento di Progetto Famiglia si sono uniti per dare vita alla Federazione Progetto Famiglia. Una Federazione di enti ciascuno giuridicamente ed economicamente autonomi ma uniti insieme per la missione e soprattutto per sostenersi vicendevolmente.
In questi anni gli operatori e i volontari di Progetto Famiglia hanno scoperto tante miserie: giovani senza ideali e sposi stanchi del loro matrimonio, le lacrime delle donne che non riuscivano a dimenticare il bambino che avevano rifiutato prima della nascita, l’angoscia di chi convive con l’handicap e il disagio di chi sperimenta la propria fragilità psichica, genitori che non riuscivano ad aprirsi al dono della vita.
Hanno cercato di fare la loro parte e poco alla volta si sono aperti tanti sentieri di carità: l’educazione alla vita e alla sessualità, l’insegnamento dei metodi naturali, la preparazione degli operatori della pastorale familiare, i colloqui con mamme che hanno intenzione di abortire, il sostegno alle famiglie che si trovano in difficoltà, le case di accoglienza per minori e ragazze madri, le opere di carità realizzate in Africa prima in Burkina Faso e oggi anche in Togo, l’opera culturale a favore della famiglia che cerca di rispondere all’emergenza della povertà educativa e morale su tanti temi. La cosa interessante è che tanti giovani oggi sono impegnati in questa realtà o hanno scelto di vivere un anno di servizio civile presso Progetto Famiglia.
“Raccontare il bello, la novità il sacrificio non interessa a nessuno. Il mondo fa di tutto per abbassare il tono della nostra speranza” ha detto il vescovo Giuseppe nel suo intervento “In questa realtà dobbiamo stare come credenti e cittadini. Con quale stile? Lo dice il maestro: come il sale, come il lievito, come la luce” che per il vescovo Giuseppe significa “con il coraggio della fede, la dolcezza della carità e la caparbietà della speranza. Il primo papa, San Pietro, dice che dobbiamo rendere ragione della speranza che è in noi. E per un cristiano la speranza è Cristo Gesù. Non possiamo comunicare speranza senza prima possederla”.
Il Vescovo affida alla riflessione di Progetto Famiglia il numero 9 della Spes non confundit che “può essere il vostro programma e quello in cui io leggo il vostro carisma. In questo numero il Papa passa dai segni dei tempi ai segni di speranza. Chiede entusiasmo e vigore nel desiderio di vita. Chiede di lavorare per l’emergenza denatalità da un lato, dall’altro nei luoghi dove l’apertura alla vita è osteggiata. Mi raccomando, il vostro lavoro apostolico è questo”. “Nel cuore della Chiesa io sarò l’amore” il Vescovo a conclusione cita santa Teresa di Gesù Bambino, patrona della Fraternità di Emmaus, mentre invita tutti a “stare nel cuore della Chiesa avendo la Chiesa nel cuore”.
Don Silvio Longobardi, custode della Fraternità di Emmaus e fondatore di Progetto Famiglia ha commentato la serata con queste parole: “È stato un bel momento, abbiamo avuto modo di raccontare al vescovo i tanti volti: i volti di coloro che si impegnano con generosità e audacia per seminare il Bene; il volto di coloro che incontriamo nel nostro cammino e con i quali abbiamo condiviso un pezzo della nostra vita. Una storia come questa non si improvvisa e non è soltanto il frutto della buona volontà. È una storia che può nascere solo dalla fede e dall’incontro con Gesù Cristo. È una storia che solo partendo dal Vangelo può portare frutti saporiti. Noi lo speriamo e lo sperimentiamo ed è questo che vogliamo raccontare e annunciare”.
Una realtà piccola ma ricca di tante opere quella di Progetto Famiglia. “Eppure”, dice Giovanna Abbagnara “non sono le decine di pozzi o di case o di libri pubblicati che danno vita a questa storia, piuttosto sono le persone che abbiamo incontrato e aiutato, accolto per un tempo breve o lungo. Non importa. La cosa più bella della carità è la gente, il gioiello più prezioso del tesoro di Dio”.