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Quale migliore inizio? Un nuovo viaggio in Burkina Faso

Abbiamo veramente capito di essere a Ouaga quando ci siamo affacciati sulla scaletta dell’aereo: l’aria caldo-umida che ben conosciamo ci ha investiti in pieno, dandoci il benvenuto in terra d’Africa. Paul, la nostra guida, ci aspettava all’uscita dell’aeroporto.

Dopo saluti e abbracci calorosi e qualche foto di rito, siamo andati a cena nel “nostro” solito ristorante della capitale, Verdoyan, gestito da un belga, della cui igiene ci fidiamo per esperienze pregresse, tutte positive. Siamo arrivati lì alle 22.30 ma, con nostra sorpresa, i tavoli erano tutti pieni. San Valentino è “arrivato ” anche qui e i burkinabé che possono permetterselo, giustamente lo festeggiano. Dopo aver atteso circa un’ora, abbiamo finalmente ottenuto un tavolo e mangiato con appetito. Abbiamo lasciato il locale intorno a mezzanotte. Ripresa la strada, abbiamo dovuto fare un giro largo per uscire dalla città perché alcuni viali principali (che portano o si avvicinano alla residenza del Capo di Stato, il dittatore Traorè) vengono chiusi dall’esercito per motivi di sicurezza intorno alle 18.00. Finalmente imboccata la direttrice verso sud, ci siamo ritrovati in un cantiere per la realizzazione della prima vera autostrada, iniziato già l’anno scorso, ma quest’anno notevolmente allungato e peggiorato nella viabilità: strade sterrate, completamente buie, piene di buche, di dossi, strettoie, polvere rossa che si alzava a creare una fitta nebbia che ti entra nei polmoni…

Abbiamo viaggiato così, tutti stipati con i nostri numerosi e pesanti bagagli, nel dinà affittato per l’occasione, che scricchiolava sinistramente ad ogni passo… Siamo arrivati alla Cittadella Martin a Saaba, circa 50 km a sud di Ouaga, verso l’una e trenta del mattino. Suor Caterina e Francesco ci aspettavano per darci il benvenuto. Ci hanno assegnato le camere e dopo una doccia veloce, verso le due e trenta, finalmente a dormire.
Prima ancora del suono delle Campanella, che alle 6.30 del mattino ha iniziato a diffondersi nella cittadella Martin e nelle campagne circostanti, ci ha pensato un’oca con il suo vigoroso starnazzare a strapparci dal nostro già esiguo riposo. Una leggera nebbiolina, umidità mista a terra rossa africana sollevata dal vento, velava l’orizzonte. Siamo scesi nella cappella dell’edificio dove padre Jan ha celebrato la messa del mattino. Incredibilmente il Vangelo ci “parlava” della distribuzione dei pani e dei pesci, di “affidarsi e di fidarsi di Dio”, di essere missionari nella nostra vita per Lui e con Lui. Quale migliore inizio per il nostro viaggio missionario?

Dopo aver salutato il gruppo di italiani già da tempo a Saaba per i lavori alla Cittadella e aver sbrigato le operazioni di cambio valuta, sotto un sole cocente siamo partiti sul nostro dinà stracarico per Koupela. Un paio di posti di blocco per controllo passaporti e visti d’ingresso, un quasi investimento di una capretta che ha attraversato improvvisamente “l’autostrada”, e finalmente, siamo arrivati alla “nostra” casa africana, l’Oasi di Santa Teresa, accolti con allegria e affetto dalle suorine e dagli abitanti della casa. Abbiamo conosciuto Agnese e Giovanna, italiane, già qui da inizio mese a vivere l’esperienza del loro primo viaggio missionario. Finalmente abbiamo aperto le nostre valigie, constatando che i nostri “preziosi” carichi erano arrivati sani e salvi. Nel pomeriggio, ci siamo avviati a piedi allegramente per le strade di Koupela verso la Cattedrale della città perché lì al sabato sera c’è una meravigliosa funzione religiosa cantata e partecipata anche con balli, ritmati battiti delle mani e gioiose “urla” tribali. Davanti a noi una giovane mamma con tanti bambini dai 7 ai due anni e, in braccio, questa meraviglia. Verso la fine della messa, Elodie, accortasi che Marina ed io la guardavamo di continuo, ha chiesto alla mamma se poteva “darcela” per un po’. La madre burkinabé, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si è girata e ha messo la bimba tra le braccia di Marina. Qui gli esseri umani ancora si fidano e si affidano al loro prossimo… Siamo rientrati all’Oasi illuminando le strade buie con le torce dei nostri telefonini. Cena in allegria e, a seguire, un bellissimo momento di condivisione, presieduto da suor Elodie, dove noi italiani e loro, suore, novizie, postulanti, ci siamo presentati e raccontati. Sono venute fuori emozioni, riflessioni profonde, aspettative, a tratti anche le personali sofferenze… Prima della buonanotte, eravamo già diventati magicamente un gruppo affiatato, una famiglia con saldi legami.