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Caro diario…

Continua la storia nel cuore di questo nuovo viaggio missionario…grazie a Salvatore anche oggi abbiamo un pezzetto del suo diario che ci permetterà di esplorare le terre sconosciute e le connessioni umane profonde, testimoniando il potere trasformativo della solidarietà. In ogni parola si dipana la trama di un’avventura che va oltre la geografia, abbracciando il cuore della missione e il cammino interiore.

04/02/2024
Caro diario,
Oggi abbiamo deciso di dedicare la giornata alla visita di persone care, conosciute qui in Burkina a partire dal 2014, con cui nel tempo abbiamo stabilito rapporti di amicizia e affetto sempre più forti. Persone care, sia tra i vivi ma anche, purtroppo, tra chi non c’è più. Così di buon mattino la prima tappa è stata al cimitero dei bambini di Koupela, dove riposano due bimbi che hanno segnato profondamente la mia storia personale: Albert Kabore e Salvatore Wanre. Del primo, molti di voi già conoscono la triste storia. L’ho raccontata in un brano scritto anni fa ma che, ancora oggi, non riesco più a rileggere in pubblico e affido di solito questo compito ad altri che, come me, provano a far conoscere le difficili condizioni di vita dei bambini nei Paesi poveri del mondo.

Del secondo non ho mai scritto… Almeno su carta. Era il figlio di Cyrille, un caro ragazzo conosciuto qui all’Oasi, il quale, nato senza una mano, ha dovuto superare ostacoli e pregiudizi che hanno reso ancora più difficile la sua esistenza. Un ragazzo gentile e volenteroso, mite di cuore, che finalmente qualche anno fa è riuscito a coronare il suo sogno: sposarsi e mettere su famiglia. Ebbene, da questo matrimonio, che ci ha resi tutti felici, era nato uno splendido bambino, a cui Cyrille aveva dato tre nomi. Il primo, in mio onore, era Salvatore. Cresceva bello e florido quel piccolino quando, a circa dieci mesi, probabilmente una bronchiolite se l’è portato via. Le scarse possibilità diagnostico-terapeutiche delle strutture sanitarie locali non sono state in grado di salvarlo. Rimandato a casa dall’ospedale civile dopo una prima crisi respiratoria, il suo cuoricino smise di funzionare una notte all’interno dell’umile casetta di Cyrille e Nades. Una tragedia per loro, un’altra tragedia per tutti noi. Marina ed io non siamo riusciti a conoscerlo di persona: si è spento nel 2020, primo anno di pandemia.
Così oggi, accompagnati da Elodie, noi e il nostro caro gruppo di viaggio ci siamo ritrovati a pregare sulle loro tombe. È stato un momento di grande commozione. Successivamente, dopo una tappa al mercato per comprare sacchi di riso, taniche di olio e palloni da calcio, tutti doni per le nostre prossime visite, ci siamo recati a Zaogo, un villaggio alla cui periferia vive Pascaline, una donna vedova, con quattro figli che, rifiutando la tradizione locale, alla morte del marito non ha accettato di diventare, come qui è consuetudine, una seconda moglie del fratello del defunto, per cui, abbandonata dalla famiglia, affrontava in povertà ma con grande dignità i disagi della sua condizione. Anche di questa storia ho già scritto altrove. In ogni caso Caterina ci mise al corrente della sua condizione e nel 2021 andammo a conoscerla di persona. Il gruppo Albert decise di aiutarla, donandole una casa robusta in cui potesse stare al sicuro e crescere in tranquillità i suoi figli e, successivamente, un asino che chiamammo “generale” in “onore” di Aldo, un membro del nostro gruppo, asino con cui Pascaline rizolla la terra dove coltiva miglio, mais, fagioli ed arachidi. Grande è stata la gioia reciproca nel ritrovarci. Abbiamo abbracciato con affetto lei ed i suoi figli, trovandola più in forze e più serena, finalmente padrona della sua vita e rispettata dalla sua comunità. Il dono di un pallone ai figli di Pascaline e ai loro amichetti e una folle partita di calcio Italia – Burkina Faso che ne è seguita sotto il sole, su un terreno fatto ad onde, da cui spuntavano acuminate, secche radici di miglio appena mietuto, hanno creato un’atmosfera allegra e gioiosa. Ovviamente i giovanissimi burkinabé avevano più fiato di noi e, pur correndo scalzi, non avvertivano la fatica. In una partita senza porte e senza schemi, possiamo dire che, non fosse altro che per resistenza fisica, ha vinto il Burkina Faso.
Inaspettatamente al nostro arrivo anche i familiari del marito della vedova, che inizialmente l’avevano isolata, sono venuti a salutarci.
E Pascaline, con un gesto di grande umanità, che solo una donna sensibile, una madre premurosa poteva compiere, ci ha chiesto di accompagnarla proprio presso il fratello del marito per visitare un suo nipotino che aveva problemi di salute. Quando il piccolo, tra le braccia della sua mamma, è giunto alla nostra osservazione, abbiamo dovuto constatare che purtroppo non potevamo fare niente per lui. Cieco dalla nascita, un grave deficit psicofisico, non deambulante, il bimbo ha sei anni ma ne dimostra due-tre. La madre si era ammalata nel corso della gravidanza. Non ci ha saputo dire cosa abbia avuto ma di sicuro la sua malattia ha danneggiato lo sviluppo fetale. È stato triste e doloroso comunicare a questa giovane madre che non potevamo aiutarla, togliendole ogni residua speranza che il figlio potesse guarire.
Prima di rientrare all’Oasi, ci siamo fermati alla “Casa delle streghe”, una struttura comunale dove vivono poveramente tante persone, per lo più donne ripudiate dalle famiglie, alcune con disabilità… Da quest’anno anche la coppia di coniugi ciechi, che cerchiamo da alcuni anni di sostenere nella loro quotidianità, sono stati trasferiti qui, perché la loro casetta in affitto (un cubo di dieci metri quadri con una porta di lamiera e una finestrella nel quartiere di Tambelá, il più povero dei quartieri della zona) è stata assurdamente inglobata dal proprietario del terreno all’interno di costruzioni più recenti che tolgono loro il diritto di accesso all’abitazione… Qui succede spesso a causa di una mancanza di adeguati piani regolatori. Abbiamo lasciato in dono due sacchi di riso da 50 kg e una tanica di olio per alimenti, cose preziose qui che quasi mai i poveri possono permettersi.
Nel tardo pomeriggio ci siamo recati a casa dei genitori di suor Elodie. È una consuetudine acquisita piano piano nel tempo. La casa di Elodie si trova a Koupela, poco lontano dell’Oasi. Ha un cortile interno, intorno al quale sono state costruite diverse casette in cui vivono la madre di Elodie (il papà è scomparso purtroppo l’anno scorso) e le sorelle e i fratelli, quasi tutti sposati con prole. Ieri abbiamo trovato una bella sorpresa: un “fagottino” appena nato la notte precedente, un altro nipotino per Elodie, che se ne stava tra le sue braccia dormendo tranquillamente mentre le attività fervevano all’interno del cortile, dove si cucinava per festeggiare un onomastico e adulti, bambini, vicini di casa, entravano e uscivano per la festa, per conoscerci e salutarci, in un’atmosfera di pacifica convivenza e lieta accoglienza. Siamo rimasti lì fino all’imbrunire, abbiamo assaggiato la pietanza cucinata: riso con pesce, arachidi e qualche altro ingrediente che non conosco, dal buon sapore; abbiamo chiacchierato come se ci conoscessimo da sempre; ci hanno affidato tra le braccia senza problemi il bimbetto appena nato; abbiamo donato tante caramelle ai bimbi ma anche agli adulti e, quando si è fatto buio, prima di lasciare questa bella famiglia, abbiamo concluso la nostra esperienza di questo frammento di quotidianità burkinabé con una preghiera e una benedizione del nostro don Fabrizio su tutti gli astanti.