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Acqua pulita a portata di mano
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Questa mattina siamo partiti da Koupela in direzione nord ovest per raggiungere il villaggio di Wimbesin (si legge “wibsè”) a cui il Gruppo Albert ha donato il suo nono pozzo alla popolazione locale.
Prima di addentrarci nella brousse (come qui chiamano la savana) abbiamo comprato un sacco di riso da venticinque chilogrammi ed alcuni palloni da calcio da portare in dono. Ci siamo addentrati parecchio per strade sterrate, sempre più piccole, fino a diventare sentieri che attraversavano numerosi torrenti in secca in cui il nostro dinà scendeva e risaliva con inaspettata efficienza. Ad attenderci, ovviamente, tutta la popolazione del villaggio, con tantissimi bambini.
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Sono nomadi, allevatori di bestiame, in particolare bufali, provenienti dal Niger e stabilitisi in questa regione da diverso tempo. L’accoglienza è stata calorosa, con balli in nostro onore, questa volta accompagnati non solamente da strumenti a percussione ma anche da uno strumento a corde – mi sembra di averne contate tre – il cui suono si percepiva particolarmente amplificato. Eppure lo strumento non sembrava dotato di una particolare cassa armonica. Quando la folla dei presenti si è un po’ diradata, abbiamo compreso l’originale sistema di amplificazione. In pratica il musicista aveva collegato il cavo di un microfonino, fermato in qualche modo allo strumento, con un vecchio stereo di automobile, a sua volta collegato ad una cassa di amplificazione. L’energia veniva fornita da una piccola celletta fotovoltaica. Geniale in un luogo sperduto nella savana…
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C’è stata la cerimonia dell’acqua dell’accoglienza, integrata con un assaggio di latte di bufala, davvero buono, direi; i discorsi di rito degli anziani e poi i nostri discorsi. Mi ha colpito, tuttavia, il discorso delle donne del villaggio, affidato ad una signora dall’età indefinita che, accompagnata da altre tre donne in una piccola delegazione, ci ha espresso con parole semplici ma sentite tutta la loro gratitudine per il pozzo donato. Parlava quasi in un sussurro, non ha mai alzato lo sguardo verso di noi manifestando un timore reverenziale nei nostri confronti che a noi è dispiaciuto molto e, ad un certo punto, ha asciugato anche qualche lacrima che le scendeva giù sul viso. Mi ha fatto tanta tenerezza. Avrei voluto abbracciarla come se fosse mia madre. Cosa dev’essere per loro quell’acqua pulita “a portata di mano”, quanti chilometri in meno da percorrere tutti i giorni per raggiungere la fonte d’acqua più vicina; quanta fatica in meno ogni giorno nel non dover più caricarsi bidoni pieni d’acqua sulla testa o su un carretto da spingere sul terreno sabbioso, arido e irregolare…
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Dopo lo scambio dei doni, vestiti e polli per noi, riso, palloni e tantissime caramelle per loro, abbiamo intrapreso il viaggio di ritorno sotto un sole impietoso, sognando l’aria condizionata che il dinà non ha mai avuto in dotazione. Nei pressi di un maestoso baobab ci siamo fermati per qualche foto e per abbracciare l’albero sacro, l’albero della famiglia. Paul, la nostra guida burkinabé, ci ha invitati a seguire una loro usanza: “abbracciare” l’ albero e parlargli in silenzio, entrando così in comunicazione con lui…
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Rientrati all’Oasi, dopo un pranzo veloce, abbiamo visitato qualche ragazza della casa Mons. Yougbare e poi ci siamo dedicati alacremente a svuotare le valigie di tutto il gruppo da oltre 130 kg di farmaci. Abbiamo lavorato tutti per ore a dividere, catalogare… Vedere alla fine tanti farmaci tutti insieme, che doneremo all’Oasi innanzitutto ma anche a due ospedali e ad un centro per bambini sordo-muti, ci ha riempito di soddisfazione.
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Nel tardo pomeriggio Mireille, con nostra gioia, è venuta a trovarci. Ormai è una bellissima signorina di 21 anni ed è una gioia poterla abbracciare, poterle parlare, poter constatare che è in piena salute, assolutamente in grado di badare a se stessa. Dopo una cena in allegria, qualche altra visita medica fatta da Salvio, anch’egli medico, uno dei miei amici fraterni che mi accompagna in questo viaggio.