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Storie di ordinaria resistenza

Questa mattina ci siamo recati in un santuario che qui a Koupela chiamano per brevità “1900 “. È nel 1900 infatti che i primi missionari cattolici giunsero a Koupela e ricevettero dallo “chef” della zona un pezzo di terra in cui stare. Qui essi costruirono una chiesa e iniziarono a predicare.

Oggi nella chiesa c’è la tomba del primo vescovo del Burkina Faso. All’esterno, in un angolo del vasto piazzale, c’è una cappella dedicata alla Vergine Maria. All’interno, una statua lignea di Madonna con Bambino, molto bella. C’è sempre qualche fedele a pregare in religioso silenzio. Curiosamente la statua ogni giorno cambia vestito, indossando sempre abiti di tipo tradizionale locale.

Ripreso il cammino ci siamo recati a casa della nonna di Mireille per salutarla e lì abbiamo constatato con sorpresa che Mireille ha una sorella più piccola, di diciotto anni, Clarisse, che da poco è diventata mamma di una bella bimba, di nome Marien. La piccola è un fagottino di ventitré giorni e non abbiamo resistito alla tentazione di tenerla tra le braccia per qualche minuto.

Successivamente ci siamo dedicati alla spesa “grossa” al mercato di Koupela. Una cosa necessaria a rimpinguare le nostre scorte alimentari ma anche divertente. Una nostra compagna di viaggio, Daniela, e due ragazzi italiani venuti qui con noi da Koupela, non avevano mai fatto l’esperienza di addentrarsi nei dedali fittissimi di bancarelle di un vero mercato africano. Guidati da suor Lea, abbiamo comprato tantissime cose: sacchi di riso da 25 kg e lattine d’olio di 5 lt da donare nelle nostre visite ai villaggi o a famiglie che conosciamo, sacchi di farina di mais, sacchi di zucchero, tantissimi tipi di verdure e ortaggi, tra cui le pesantissime patate dal guscio legnoso che qui chiamano “gnam gnam”, lo zenzero… Sovraccarichi di pesi, che ci siamo un po’ distribuiti (i sacchi ce li hanno portati direttamente all’Oasi) abbiamo vagato per il mercato per circa tre ore ma il caldo era spossante (più di 38 °C), soprattutto per chi viaggiava nel cassone del pickup, così, sfiniti, abbiamo fatto ritorno al nostro Toyota per tornare a casa.

Non prima però di aver effettuato un’altra sosta alla bottega artigianale di Richard, un giovane burkinabé, che lavora molto bene il legno e che ha vinto numerosi premi. Lo troviamo intento al lavoro, tra scalpelli, martelli, pialle e utensili di ogni tipo. Ci accoglie, come al solito, con il suo bellissimo sorriso e ci dice che tra qualche giorno verrà all’Oasi a portarci gli oggetti ordinatigli dal nostro parroco, don Andrea.

Nel pomeriggio, dopo un breve riposo, ci siamo recati in uno dei quartieri più poveri di Koupela: Tambela. Qui vivono centinaia di persone in condizioni pressocché inaccettabili per degli esseri umani, all’interno di cubicoli spesso non più grandi di 10 metri quadri, senza elettricità, senza acqua potabile, senza fognature… Veniamo qui ogni anno a trovare due care persone: Philip ed Eugenie, una coppia di ciechi che suor Caterina ci ha fatto conoscere alcuni anni fa e che fanno ormai parte della nostra famiglia africana. Lui cieco dalla nascita, lei a seguito di una meningite contratta da piccola. Nonostante il grave handicap, soprattutto in questi contesti sociali ed ambientali, questa coppia è una forza della natura. Sono autonomi Philip ed Eugenie: si cucinano da soli, si recano in chiesa tutti i giorni, hanno imparato ad intrecciare le borse con fili colorati e le vendono su commissione. Ancora resta un mistero per noi capire come facciano. Al nostro arrivo, preceduti da una donna anziana che ci guida nel dedalo di stradine tra le casupole, ci accoglie solo Philip. Eugenie è ancora a scuola ad un corso di formazione. Col suo sorriso gentile e un tono di voce pacato, quasi un sussurro, parla con la suora che ci accompagna e che traduce per noi. Chi del nostro gruppo non aveva ancora vissuto questa esperienza, si guarda intorno, sul viso dipinta un’espressione di incredulità sulle quasi impossibili condizioni di vita del quartiere. Intanto un nugolo di bambini alla vista dei “Nasara“, come ci chiamano qui, si raccoglie in silenzio e con un’innata educazione sulla soglia del cortile della povera casa senza entrare, in attesa che alla nostra uscita possano ricevere qualche bon bon. Mi colpisce molto questo loro atteggiamento, senza schiamazzi, senza quella che per noi occidentali sarebbe una normale esuberanza “da bambini”. Doniamo a Philip un sacco di riso da 25 kg e una lattina da 5 litri d’olio, due alimenti molto costosi da queste parti. Gli commissioniamo alcune borse e gli paghiamo un anticipo. Lui ci ringrazia allungando la mano nel vuoto in attesa di una nostra che stringa la sua e continua a ripetere : “Barka, barka” (grazie in lingua moore). Sui visi di Giovanni ed Antonio, i due ragazzi del nostro gruppo, resta dipinto lo stupore, l’incredulità, per le condizioni di vita di Philip.


Il tempo di rientrare all’Oasi e, all’imbrunire, ci troviamo a partecipare alla messa all’aperto nel bel giardino dell’Oasi. Le ragazze cantano con le loro voci melodiose mentre scende la sera. In questa celebrazione preghiamo per il piccolo Francesco Enea che dovrà subire un delicato intervento chirurgico e per il giovane Lorenzo, per la sua vita drammaticamente spezzata. Alzo lo sguardo verso il cielo: una stella , una sola, splende sopra le nostre teste. Mi piace pensare che Lorenzo sia lassù, ad infondere ai suoi genitori il coraggio di andare avanti, magari attraverso il conforto della fede.
Dopo cena dedichiamo circa tre ore a catalogare tutti i farmaci portati in Burkina Faso e, dopo aver messo da parte quanto serve per la gestione della medicheria dell’Oasi di Koupela e della Cittadella Martin di Ouaga, riempiamo tre grosse valigie di farmaci che doneremo domani alle Camilliane; due valigie che doneremo all’ospedale Civile di Ouaga; una valigia per i ragazzi sordomuti del centro Effatà. È ormai passata la mezzanotte quando, finalmente, andiamo a riposare.