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Missione salute

Il programma di oggi è abbastanza fitto quindi ieri sera abbiamo deciso di svegliarci alle 6.30 del mattino per essere operativi quanto prima. Ma, nonostante il sacrificio (qui le giornate sono lunghe e intense e un’ora di sonno in più non dispiacerebbe), sembra che non riusciremo ad uscire dall’Oasi alle 8.00, come previsto: la Toyota ha una ruota bucata.
Suor Elodie chiama il meccanico mentre noi decidiamo di uscire comunque all’orario convenuto per recarci all’ospedale San Camillo. Siamo in 11 e faremo due viaggi per e dall’ospedale pur di non rallentare il programma. Tuttavia il meccanico, sopraggiunto alle 7.30, a discapito dei luoghi comuni sulla pigrizia degli africani, riesce a cambiare la ruota in tempi brevi così partiamo tutti insieme con due auto. Le Camilliane ci stanno aspettando, soprattutto la decana, suor Bartolomea, inossidabile nonostante l’età, rientrata da poco dall’Italia. Nata ad Alghero, vive da quarantacinque anni in Burkina Faso.
Dopo i saluti e un rinfrescante bissap (bibita a base di karkadè) nella residenza delle suore, ci rechiamo con il gruppo nell’ospedale. In particolare visitiamo gli ambulatori pediatrici dove troviamo un pullulare di attività tra bambini malnutriti o con malattie intestinali; altri piccoli sono lì per normali programmi vaccinali o per la vaccinazione antimalarica. Questa è una novità degli ultimi due – tre anni che mira ad abbattere pesantemente il numero dei morti per Malaria. L’OMS calcola che ogni anno si ammalano di questa malattia trasmessa dalla zanzara più di duecento milioni di individui, soprattutto bambini, con una mortalità di quattrocentomila individui l’anno, soprattutto bambini sotto i cinque anni! Ci aggiriamo con rispetto e circospezione tra le mamme pazientemente in attesa, con uno o più bambini al seguito. Nessuna sembra infastidita dalla nostra presenza ma noi, per farci perdonare l’invadenza, distribuiamo caramelle a piccoli e grandi. Su una panca ci sono due donne, una più giovane e l’altra più anziana, con due gemelli tra le braccia. La loro mamma è deceduta a seguito di un’infezione puerperale ad un mese dal parto e ora dei piccoli si occuperanno la nonna ed una zia.



Successivamente con suor Lea (la suora anestesista) e suor Brigida ci rechiamo in un altro ambulatorio al momento vuoto e lì finalmente possiamo donare loro tre valigioni carichi di tantissimi farmaci che, generosamente, ci sono stati donati in Italia. Suor Brigida ci dice che sono una manna per loro in quanto con i tantissimi profughi che arrivano dal nord del Burkina, più precisamente dalla fascia di confine con il Mali, dove imperversa la guerra dell’esercito contro i ribelli jihadisti, loro stanno andando in crisi per mancanza di risorse. Il Gruppo Albert inoltre è lieto di donare un sostegno economico alle Camilliane per almeno quaranta bambini malnutriti per l’anno 2025.
Dopo le foto di rito e calorosi abbracci, lasciamo l’ospedale in direzione Zaogo per andare a far visita alla vedova Pascaline e ai suoi bambini. È felice di rivederci e ci accoglie nella casa che le abbiamo donato offrendoci acqua fresca contro la calura sempre più insopportabile. Rodrigo, il suo ultimo nato, ormai è un ometto e con la sua camicia gialla ci segue ovunque andiamo. Rivediamo anche Henriette, la bambina della vicina di cui avevamo curato il piedino piagato l’anno scorso. Ora il piede è perfettamente guarito. Resta l’epilessia: nonostante una cura, continua ad avere crisi periodiche. Pascaline ci accompagna anche dalla famiglia del defunto marito a circa duecento metri dalla sua casa. Qui ritroviamo bellissime scene di quotidianità: una donna che fila ad un rudimentale telaio usando le mani e i piedi; un’altra allatta i suoi gemelli – oggi è la giornata dei gemelli – seduta all’ombra di un albero ; altre sono intente a faccende domestiche mentre alcune galline svolazzano qua e là, asini ragliano e bufali placidi brucano l’erba… È un quadro bucolico davvero bello e rilassante.


Elodie ci chiede se, invece di rientrare a Koupela, vogliamo fare una deviazione e raggiungere il villaggio di Regina, una ragazza di sedici anni che l’anno scorso Marina ed io abbiamo adottato allo studio (ricordate della ragazza che faceva i compiti scrivendo con i gessetti sul cancello rosso della sua casa?). Lei non ci sarà perché è orario di scuola ma Marina ed io avevamo in programma di fare tappa presso sua madre per tranquillizzarla sul fatto che continueremo a sostenere la figlia fino alla fine degli studi e a lasciarle riso ed olio per sostenere un po’ la famiglia. La signora è rimasta vedova e qui nella savana del Burkina Faso le vedove con tanti figli non se la passano proprio bene. Accettiamo la proposta di Elodie che intanto ha telefonato ad un catechista della zona che ci aspetterà con un motorino in un punto per noi indefinito, per farci da guida fino al villaggio. Quindi riprendiamo le auto, questa volta mi tocca guidare la vecchia Mercedes, e partiamo.
Il viaggio si rivela più lungo del previsto: guidiamo nella savana per più di tre quarti d’ora, tra strade sterrate, strettoie, torrenti in secca… Ad un certo punto bisogna superare un avvallamento piuttosto ripido. Il pickup, più alto, scende e risale piuttosto agevolmente. La Mercedes, dal pianale molto basso, non ce la può fare: romperemmo probabilmente la marmitta, la coppa dell’olio, ecc. Pasquale scende dalla macchina per cercare un passaggio più agevole. Dopo un po’ mi fa segno che più a destra c’è un varco migliore. Faccio manovra a fatica nel terreno della brousse e mi sposto più in là: l’avvallamento è meno ripido ma comunque difficile da superare. Allora anche Marina ed Agnese scendono dall’auto e piano piano, in diagonale, infilo il muso dell’auto verso il basso. Poi, altrettanto piano, provo a risalire dall’altra parte. Manovra riuscita! Si riparte su una sterrata più ampia e dopo un po’ arriviamo a casa di Regina. Siamo oltre mezzogiorno e il caldo è intensissimo ma le nostre scorte d’acqua sono pressocchè finite. Salutiamo la madre della ragazza ed i presenti, lasciamo per lei i nostri doni e dopo un po’ ripartiamo per Koupela seguendo per fortuna un’altra strada, più agevole.


Nel pomeriggio usciamo verso le 16.30 per recarci a casa della mamma di suor Lea. Fa caldissimo ma le suorine hanno la celebrazione quotidiana alle 18 e quindi disponibilità di tempo per accompagnarci molto limitata nel pomeriggio. Lea è una ragazza dolcissima, sempre sorridente e disponibile nei nostri confronti e molto umile. Entriamo nella casa della sua mamma: tipico cortile interno oltre le mura e il cancello e, lungo il perimetro, alcune piccole case, dove vive TUTTA la famiglia, cioè le varie generazioni. In primis la sua mamma, Teresa, una donna dal viso segnato da una vita dura che, scopriamo, è molto simile a quella della vedova Pascaline: morto il marito, Teresa ha rifiutato la tradizione locale di dover sposare il fratello del marito e dargli altri figli (lei che ne aveva già cinque). Rifiutata la tradizione è stata abbandonata da tutti per anni. Lea si guarda intorno e continua il racconto. “Eravamo molto poveri. Nessuno ci aiutava. Qui non c’erano i muri né il cancello di accesso al cortile né queste casette. Il terreno era nostro ma non c’erano i soldi per costruire. Laggiù – e indica uno spazio di fronte a dove siamo seduti su qualche sedia e qualche panca – c’erano due capanne di fango e il tradizionale tetto di paglia. Quella era la nostra casa. Ricordo ancora che io ero piccola e c’era un buco nel tetto di paglia. Quando pioveva, mia madre mi teneva in braccio e metteva qualche secchio dove filtrava la pioggia per non fare allagare la capanna. I bambini che passavano per strada tiravano le pietre contro la capanna per divertimento. Ora che i miei fratelli lavorano, sono riusciti a realizzare tutto questo”, dice con orgoglio buono. Dall’altra parte del cortile c’è un bell’esemplare di asino che appartiene alla sua famiglia e in un angolo una grande tomba, rivestita di mattonelle, come si fa qui. È la tomba del suo papà, scomparso quando lei aveva solo due anni e di cui non serba alcun ricordo.


Intanto continuano ad entrare dal cancello ragazze e ragazzi che tornano da scuola nelle loro tipiche divise marroncine. Ognuno che entra resta un po’ stupito dal trovare un gruppo di dieci “nasara” seduti nel loro cortile ma, tutti, senza fare domande né a Lea, né alla nonna Teresa, né alla mamma Benazid, una bellissima donna di trentaquattro anni, moglie del fratello, che ha a sua volta già cinque figli. Si fermano a salutare porgendoci la mano con un leggero inchino. Dopo una breve preghiera sulla tomba del papà di suor Lea, lasciamo la sua abitazione e rientriamo all’Oasi.
Ma prima ci fermiamo al cimitero dei bambini, dai “nostri” Albert e Salvatore, pregando anche per loro. Poco prima di cena Elodie mi chiede se posso visitare un bimbo di sette mesi che attende in giardino con la sua mamma. È la moglie del custode dell’Oasi. Mi mostra la gambetta destra del bimbo, piena di pustole e croste. Mi dice che il bimbo continua a grattarsi e ha avuto la febbre. Gli ausculto il torace e ispeziono gola ed orecchie. Tutto nella norma e al momento non ha febbre. Concludo per un’entomodermatosi e dopo aver disinfettato la cute interessata, applico una pomata a base di cortisonico e antibiotico nella speranza che il bimbo non peggiori e sia necessario poi all’utilizzo di antibiotico per via sistemica. Chiedo ad Elodie di spiegare alla mamma che il piccolo deve stare lontano dal pavimento e dal terreno per un po’. È molto piccolo e l’infezione potrebbe peggiorare. Lei guarda Elodie con sguardo rassegnato e le dice che non è possibile. Quando la suora mi chiede di riaccompagnare la signora con il piccolo a casa con la nostra auto perché ormai è notte, all’arrivo alla sua abitazione, ad alcuni chilometri da Koupela, capisco le parole.di questa mamma. La casa è poco più di una capanna, inserita tra mura diroccate e vecchie capanne tutto intorno. È buio pesto, niente corrente elettrica. Un maiale grufola indisturbato nel terreno ricoperto di residui di buste di plastica e materiali di scarto tutto intorno alla casa. Come potrebbe questa madre controllare la salubrità della sua piccola abitazione? Come potrebbe tenere lontani gli insetti? Al rientro all’Oasi, cena e altre quattro visite mediche prima di andare a dormire.