news/
Tra lacrime, sorrisi e… asinelli

Questa mattina sveglia presto: messa alle 7:00 . Oggi è l’ultima colazione con Agnese, Giovanna e I due ragazzi, Giovanni ed Antonio, che tra poco ripartiranno con padre Jan per tornare a Ouaga e di lì in Italia. Immancabili le ultime foto di gruppo, ripetuti abbracci e qualche lacrima sincera di chi proprio non riesce a trattenere l’emozione.
Intanto il piccolo Donald già mi aspetta sotto l’albero in giardino per le cure quotidiane. Appena mi vede, piange. Mi dispiace ma è un segno vitale e va bene così. Infatti oggi per la prima volta non ha febbre e gli risparmio almeno la suppostina di tachipirina. E poi… Arrivano gli asinelli! Dal mercato degli animali, infatti, giunge il nostro uomo di fiducia con quattro ciuchetti trotterellanti che vengono lasciati nel giardino dell’Oasi. Saranno destinati a quattro famiglie bisognose indicateci da Suor Elodie. La prima famiglia è proprio quella del piccolo Donald: il papà fa il guardiano notturno all’Oasi, la moglie è casalinga e ha due bimbi piccoli (la prima ha due anni) e non hanno “casa” di proprietà: sono al momento (mal) tollerati nella casa del fratello di lui con non poche tensioni familiari. Per gioco, chiamiamo i quattro asinelli, tutti maschi, con i nomi dei componenti maschi del nostro gruppo. Mettiamo Pauline a scegliere quale vuole: sceglie proprio “me”. Un po’ di piaggeria perché le sto curando il bebè? Chissà, meglio non chiedere e crogiolarsi nella lusinga.


Abitano tuttavia, come già detto, lontanissimi dall’Oasi e, sotto un sole spietato, non è il caso di far rientrare a piedi tutta la famigliola, asino compreso, con una camminata di dieci chilometri. Suor Elodie dice che possiamo caricare l’asinello sul retro del pickup, insieme alla bici del guardiano, insieme al guardiano e a Salvio. Nell’abitacolo, io alla guida, Marina, Aldo e Pauline con i bambini. Arrivati a destinazione, l’asino viene liberato e subito va a brucare un po’ di biada. Noi andiamo a salutare nei pressi di una vecchia capanna l’anziano padre del guardiano, che se ne sta sull’uscio, sopra una stuoia senza la forza di alzarsi. Fuori dal recinto della proprietà giganteggia un maestoso baobab. Tutto intorno qualche animale da fattoria, compresa una chioccia che cova, e due bambini tra i tre e i quattro anni, che trotterellano verso il nonno per scrutarci e indurci a sganciargli un bon bon. Rientrati a Koupela, ripetiamo la donazione altre tre volte, via via che arrivano le famiglie bisognose. Mi colpisce una coppia musulmana perché giunge accompagnata da un catechista cristiano. Mi colpisce perché Elodie si è rivolta a lui per scegliere una famiglia bisognosa e lui, cosa che trovo molto bella, non ne ha fatto una questione di campanilismo religioso e ha scelto chi davvero a suo parere avesse più bisogno. Inoltre, mentre realizziamo foto e video di circostanza da poter poi mostrare ai nostri sostenitori italiani, se ne sta in disparte, fuori dal “palcoscenico”. Allora mi viene spontaneo, grazie anche all’aiuto che suor Victorine mi dà nella traduzione, sottolineare che noi veniamo dall’Italia, siamo cristiani, compiamo questi viaggi solo per poter aiutare chi ha più bisogno, indipendentemente da ogni credo religioso, e lavoriamo per la pace tra i popoli. Il catechista, fino a quel momento serio e immobile, abbozza un sorriso e muove la testa in segno di approvazione. Ci stringiamo tutti la mano con la consapevolezza che è proprio un bel momento di condivisione e di accettazione reciproca. Basterebbe davvero solo un po’ di sensibilità e di empatia per avere un mondo migliore!
Tra una “consegna” ed un’altra di asinelli, arriva il frigorifero nuovo che la parrocchia di San Giovanni Battista ha donato alle suorine. Il loro frigo precedente, già riparato una volta, è di nuovo fuori uso e qui fa davvero troppo caldo per non avere la possibilità di tenere al fresco alimenti e bibite! Tuttavia con rammarico ci rendiamo conto che l’elettrodomestico è troppo voluminoso per passare attraverso la porta della cucina. Allora ho un’idea: smontare tutta l’intelaiatura in alluminio della porta: cosi ce la faremmo. Io ci ho messo l’idea però ci vuole uno veramente bravo per realizzarla. Per fortuna nel nostro gruppo c’è Pasquale, da me ribattezzato negli anni il “maestro” perché con le sue mani sa fare davvero di tutto, il quale senza perdersi d’animo, svita con un cacciavite neanche molto performante, le lunghe viti del telaio, con un coltello da cucina tira via tutto il silicone e, senza far rompere neanche una mattonella, tira via porta e intelaiatura. Cosi finalmente il frigorifero nuovo può iniziare la sua opera per la gioia delle suorine e nostra.


Verso le due del pomeriggio il Gruppo Albert ha finalmente concluso il progetto umanitario degli asinelli e si va a pranzo. Alle 18:00 ci rechiamo tutti, noi ospiti, le suorine, le novizie, le postulanti, con due auto e qualche motorino alla chiesa di Sant’Albert presso l’ospedale delle Camilliane. In tanti anni non ci ero mai stato. È una chiesa enorme, a tre navate, ben pavimentata rispetto agli standard di queste parti, con colonnine laterali e un altare imponente. Assistiamo, per la prima volta in Burkina Faso, ad una veglia funebre, in particolare del papà di Elodie e di altri sei defunti. Qui si usa così: non esistono funerali per un singolo trapassato, sono comunitari e si celebrano tutti contemporaneamente. Ogni famiglia porta un ritratto incorniciato del proprio defunto e lo appoggia al primo gradino dell’altare in bella vista. Poi chi vuole può pronunciare un elogio funebre del congiunto (dov’era nato, quando si era sposato, quanti figli aveva avuto, quale lavoro aveva fatto in vita e così via…) e poi si recita il rosario e si intonano numerosi canti. Tutto completamente in lingua moore. Ovviamente il nostro gruppetto di italiani non capisce neanche una parola tuttavia risulta una bella esperienza nel corso della quale mi sono anche ritrovato a pregare a modo mio… All’uscita della chiesa è buio pesto, a parte qualche tremolante luce al neon, ma le persone hanno portato vassoi di cibo e bevande (riesco ad intravedere riso, cous cous, pollo, dolò) e si trattengono a salutarsi e a mangiare qualcosa insieme nel perimetro intorno alla chiesa. Noi facciamo ritorno al centro di Koupela trasportando nel cassone del pick up “alcuni” parenti di Elodie, oltre i cinque nell’abitacolo. Ebbene salgono dietro ben quindici persone e affidano alle tre signore sul sedile posteriore tre neonati. Tirando le somme, rientriamo a casa in ventitré su una sola auto! E dobbiamo poi fare anche un secondo viaggio a recuperare qualcun altro. È divertente e rilassante vedere come questo popolo si adatti ad ogni circostanza con serenità e leggerezza. A casa di Elodie, nel cortile, un via vai continuo di parenti e amici che, per tradizione, potranno mangiare e bere qui anche per una settimana! Rientrati all’Oasi ancora qualche visita medica serale (capita spesso che se ne concentrino diverse tra il prima e il dopo cena), non ultima quella del piccolo Donald, il mio paziente più “affezionato” che vedo due volte al giorno da diversi giorni. Per fortuna c’è Salvio a darmi man forte e stasera si occupa lui di una studentessa che lamenta febbre a 39 e malessere generale. Intanto in cucina Marina ed Aldo preparano per noi un ottimo primo piatto: penne all’arrabbiata. E, dopo l’iniziale “assaggio”, il bis ci sta tutto!