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Il primo pozzo non si scorda mai

Se il “primo pozzo non si scorda mai” – ricordo ancora quando andammo ad inaugurare un pozzo della parrocchia nel lontanissimo villaggio di Njimistenga con don Andrea e assistemmo al completamento del montaggio della pompa e all’uscita delle prime gocce di acqua pulita, di cui mai, fino ad allora, la popolazione di quella zona aveva potuto usufruire – anche l’ultimo pozzo, l’undicesimo donato dal Gruppo Albert, resterà impresso profondamente nei nostri ricordi.

Infatti, per la prima volta, siamo andati ad assistere in diretta alla trivellazione per la ricerca della sorgente d’acqua. Eravamo già pronti a partire alle 10:00 del mattino per il luogo convenuto quando Paul ci ha chiamati per dirci che la ditta non era ancora sul posto (e pensare che doveva essere lì dalla sera prima). “Partiamo tra un’ora”, ci dice, “appena gli operai mi confermano di essere arrivati al villaggio”… Ma di ora in ora si ritarda la partenza. Infine si parte alle 16:00, con un caldo feroce, e Paul pretende anche che corriamo su quelle strade dissestate perché le ore di luce disponibili sono ancora poche. Strade, ho detto strade? Beh, forse nei primi chilometri, poi diventano sterrate larghe, con alti dossi e buche profonde che ti costringono quasi a fermare l’automobile; poi sterrate strette; poi poco più di solchi intuibili nel terreno tra alberi, arbusti e pietre. In qualche modo arriviamo al villaggio poco dopo le 17.00. La ditta ha già iniziato a trivellare ed ha trovato la roccia a quindici metri di profondità. Ora inizia la trivellazione vera e propria perché qui in Burkina le sorgenti d’acqua si trovano solitamente sotto diversi metri di roccia, di solito trenta – quaranta metri. Siamo speranzosi. La scarna popolazione del villaggio, adulti e bambini, è tutta lì ad assistere alle operazioni.

Noto subito che, pur avendo compreso che la nostra presenza ha a che fare con la donazione del pozzo, tuttavia, al di là di saluti di circostanza con il capovillaggio e gli anziani, non c’è allegria, non c’è enfasi nell’accoglienza degli “ospiti”, come invece questo popolo ci ha abituati in questi anni. Piuttosto aleggia nell’aria della sera la tensione, la preoccupazione per… l’acqua! Effettivamente quest’area di savana è piuttosto isolata, lontana da strade facilmente percorribili. Il pozzo più vicino dista qualche chilometro. Ogni palo che viene aggiunto ai precedenti è lungo cinque metri ed ogni volta che progressivamente viene spinto giù dalla trivella stiamo tutti a sperare che sia l’ultimo e che improvvisamente fuoriesca un getto d’acqua potente, conferma dall’aver correttamente intercettato la falda d’acqua sotterranea su cui si costruirà il pozzo.

Ma perché scavano proprio lì, in quel punto? Paul dice che nella realizzazione di un pozzo, qui è tradizione rivolgersi ad un rabdomante di cui la comunità ha fiducia. Questi, con l’aiuto di due ramoscelli di legno, che iniziano a vibrare e a flettere nelle sue mani quando si trova a camminare su una sorgente d’acqua, cioè quando “avverte” la presenza dell’acqua, dà il nulla osta per la perforazione. Non so sinceramente quanto ci sia di scientifico in questa procedura. Paul dice che comunque vengono seguiti anche altri indizi. Esistono infatti gli alberi “dell’acqua” nella savana, alberi che crescerebbero in prossimità delle polle di acqua; i termitai sono un altro segno della presenza dell’acqua; i nidi sotterranei di alcune specie di insetti, forse formiche (Paul non riesce a tradurre bene in italiano) pure stanno ad indicare la presenza dell’acqua. Insomma, basandosi su tutta una serie di criteri dettati dalla tradizione, dall’esperienza di vita, si decide dove scavare.

Intanto si continua ad aggiungere pali su pali e a bucare la roccia sempre più in profondità mentre piano piano sta calando la notte. Un’iniziale fuoriuscita di (poca) acqua ci elettrizza tutti, burkinabé ed italiani. Si sentono espressioni di giubilo, noi stessi iniziamo a fare un tifo da stadio e, pur consapevoli che dovremo viaggiare al buio nella savana per rientrare a Koupela, non vogliamo staccarci da lì. Quando tuttavia si raggiunge quota di cinquantacinque metri di profondità e l’acqua ancora non sgorga fuori, Paul dice che dobbiamo rientrare. La ditta continuerà lo scavo fino ad ottanta metri. Ci facciamo promettere che ci avviseranno subito se raggiungeranno la falda. Lasciamo la popolazione assiepata intorno alla trivella, alla luce delle lampade artificiali che gli operai puntano sul buco che stanno scavando, e andiamo via, da una parte contenti di aver vissuto un’esperienza unica, che ancora di più ci convince di quanto sia preziosa e non scontata l’acqua per gli esseri umani, pur nell’anno 2025; dall’altra con la delusione di non aver potuto festeggiare in diretta la fuoriuscita della potente colonna d’acqua che di solito accompagna una perforazione ben riuscita (ci eravamo ripromessi di fare tutti insieme la doccia sotto l’acqua sgorgante).


Il rientro, come previsto, è molto difficile. Per uscire dal villaggio e dal tratto più selvaggio di quel territorio, dove sarebbe facilissimo perdersi senza chiare strade tracciate, ci accompagna un abitante della zona, precedendoci con un motorino. Viviamo così anche l’esperienza di viaggiare nella savana di notte. C’è buio pesto a parte la luce dei nostri deboli fari. Ad un certo punto incrociamo due bambini, che camminano nella notte, guidando un asinello che trasporta su un carretto alcuni bidoni d’acqua. Avanzano piano e chissà come faranno ad orientarsi nella notte. Chissà se e come saranno in grado di difendersi da eventuali incontri pericolosi: serpenti, scorpioni. Paul dice che ogni tanto anche qualche iena lascia le riserve destinate agli animali selvaggi nel nord ovest e nel sud est della nazione, e raggiunge queste zone, di solito attaccando gli asini. È assurdo pensare che dei bambini rischino la vita ogni giorno pur di avere acqua da bere! Noi, i nostri bambini, li superproteggiamo anche nelle situazioni più semplici della loro esistenza…

Più avanti, dietro una curva, ci imbattiamo in un’altra scena singolare: tre enormi bufali, bianchi, dalle corna imponenti, sono sdraiati vicini tra gli alberelli. Si sono sistemati lì per il loro riposo notturno e ci guardano con i loro grandi occhi scuri per capire se possiamo rappresentare un problema. Ancora più avanti troviamo improvvisamente la strada sbarrata da alcuni arbusti dalle grosse spine. Impossibile avanzare. Ci tocca scendere dall’auto e rimuoverli prima di poter procedere. Grazie a Dio, piano piano, riusciamo a ritornare su strade più praticabili verso Koupela ma intanto arriva a Paul la telefonata che mai avremmo voluto ricevere. È la ditta: hanno raggiunto gli ottanta metri di profondità, il massimo che qui possono fare, ma l’acqua non c’è. È già il secondo tentativo andato fallito in quel villaggio. Paul, solitamente scherzoso e sorridente, diventa serio e triste. “Mi dispiace”, dice, “dovrò spostare il forage da un’altra parte. Quel villaggio non potrà avere il suo pozzo, la tanto agognata acqua da bere. Dovrà continuare ad arrangiarsi come fatto finora”. Nella mia mente ricompare subito l’immagine di quei due bambini con l’asinello e il carretto che avanzavano nel nulla della savana di notte con preziosi bidoni d’acqua andata a prendere chissà dove… È l’ultima sera a Koupela. Di solito ci prendiamo un po’ di tempo per festeggiare e salutare le ragazze del foyer; per cenare con calma con le suorine ma… Stiamo rientriando tardissimo.

Riusciamo giusto a fare una capatina a casa di Paul per conoscere la sua neonata Ilaria e porgere gli auguri alla moglie Judit, a cui lasciamo un dono per la bimba e un sacco di riso e olio per la loro famiglia e per la famiglia di profughi, scappati dalla guerra nel nord del Paese, ai confini con il Mali, che loro assistono da mesi. Ilaria ci rende felici perché passa di braccia in braccia tra noi bianchi senza piangere! Ai bimbi africani, soprattutto i più piccoli, di solito facciamo paura. Lei, invece, addirittura ci sorride! Torniamo all’Oasi per una cena un po’ più veloce del solito. Domani ripartiremo per Ouaga. Non rinunciamo, tuttavia, ai saluti finali dove ciascuno di noi, a partire dalle novizie, esprime i propri pensieri e i propri sentimenti per queste settimane trascorse insieme. È un bel momento, ricco di emozioni, lacrime di gioia e di nostalgia, intimità di cuori condivisa.