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À la prochaine, Burkina Faso

E’ il nostro ultimo giorno di questo viaggio missionario in Burkina Faso. Scorrono davanti ai miei occhi tutti i luoghi attraverso cui abbiamo viaggiato, in cui abbiamo sostato, così diversi dalle nostre terre natie; rivivo i sentimenti provati, i dialoghi, i momenti vissuti in queste due settimane. Mi sento emozionato ed in pace allo stesso tempo. Mi soffermo su ogni componente di questo nostro gruppo di viaggio: ognuno di essi, a partire da mia moglie, è stato per me semplicemente fantastico.

Siamo sempre stati tutti concordi nelle scelte dei programmi da realizzare, tutti orientati sempre nello stesso senso, lavorando insieme come un piccolo sciame di api operose. Quanto è cresciuto Gruppo Albert negli anni: non tanto in numero, anche se quest’anno sembra proprio che abbiamo fatto due nuovi, buoni acquisti; quanto in consapevolezza, maturità, determinazione a continuare a camminare sulla via del Bene. Il viaggio sta finendo e già si accenna alle opere da realizzare l’anno prossimo. Albert, piccolo, dolcissimo, sfortunato, Albert. Ci hai dato un grande dolore con la tua scomparsa, ci hai lacerato il cuore ma sei stato, sei davvero un miracolo, davvero un piccolo semino che, morendo nel terreno, ha dato e sta dando molto frutto. Vivi ormai in tante persone, in tante regioni d’Italia e se mai in qualche attimo ci mostriamo deboli, tentennanti, ecco che arrivi tu, la tua presenza sempre viva, a rinnovarci dentro, nella nostra volontà di proseguire ancora, di andare avanti…

Qui ogni giorno è prezioso ed anche per oggi abbiamo una piccolo progetto da realizzare. Dopo aver accompagnato suor Elodie per un controllo all’Ospedale San Camillo di Ouaga, un vero ospedale missionario, che meriterebbe un capitolo a parte, ci rechiamo infatti al Centro per ragazzi sordomuti Effatà, gestito qui a Saaba, nei pressi della capitale, dai padri pavoniani. Avevamo conosciuto questo centro negli anni scorsi grazie al nostro don Andrea, con cui abbiamo condiviso numerosi viaggi in Burkina Faso ma mancavamo da un po’. Ritroviamo con piacere frate Fiorenzo, un bergamasco radicato qui da anni, “padre” di 149 ragazzi sottratti alla strada, ad una misera vita di espedienti. L’altro padre pavoniano, che pure avevamo avuto il piacere di conoscere in passato, padre Flavio, ora è andato ad operare in Niger. Meritano tutta la nostra ammirazione questi uomini, che instancabilmente dedicano la loro vita a questa difficile missione, piena di insidie, di insuccessi, di difficoltà.

Eppure da questa struttura, e noi ne siamo testimoni diretti, sono passati e passano centinaia di giovani vite a cui viene insegnato il linguaggio dei segni e quindi si dà loro la possibilità di esprimere il proprio pensiero e di non restare isolati in queste realtà già difficili da vivere per individui senza handicap; si dà loro la possibilità di comprendere il senso della condivisione, il rispetto dell’altro, scoprire magari la propria attitudine ad un mestiere, che un domani potrebbe diventare un traguardo insperato. Fiorenzo, con lo stesso entusiasmo di sempre conduce i nuovi del gruppo, ma tutti lo seguiamo volentieri, nella visita del centro. Ci mostra gli alloggi dei maschietti e quelli delle femminucce. Si accalora nel farci notare le decorazioni sulle mura delle camerate che prima, dice, erano tristi ed anonime. Ci mostra le aule, gli spazi per i giochi, la cappella, la mensa dove in questo momento stanno pranzando decine e decine di ragazzi. Appena ci vedono, iniziano a salutarci con il linguaggio dei segni. Non lo conosciamo ma riusciamo comunque in qualche modo a ricambiare i loro saluti. Anche per questi ragazzi doniamo a Fiorenzo scatole di preziosi farmaci di cui hanno sempre molto bisogno e una piccola somma per sostenere le tante spese della quotidianità. Ci salutiamo con un abbraccio ed un sincero arrivederci.

Rientrati alla Cittadella Martin, un rapido pranzo e poi a preparare le valigie e a riposare un po’. Alle 20.30 lasciamo Cittadella Martin con Caterina e Paul. Dopo circa un’ora e mezzo siamo in capitale e raggiungiamo lo stesso ristorante dove era incominciata la nostra avventura. Questa volta però è una cena di addio, anzi di arrivederci, prima di raggiungere l’aeroporto dove inizierà la trafila di lunghi, noiosi controlli che ci consentiranno di salire sull’aereo che alle 4.30 del mattino decollerà per Istanbul. À la prochaine, Burkina Faso.